LA NATURA CUSTODITA

IN UN GESTO.

ROMANENGO, 2022

LA NOSTRA VISIONE

Fin dal lontano 1780, Romanengo ha sempre basato il suo sviluppo sulla valorizzazione delle materie prime naturali quali frutta, piante e fiori, attraverso il gesto dei suoi artigiani e delle sue ricette: sono questi veri e propri beni comuni che desideriamo continuare a tramandare perché pensiamo che siano tuttora contemporanei e che rappresentino una valida alternativa da offrire al mondo nel quale viviamo. Crediamo che questo mondo debba ritrovare un miglior equilibrio, tra un sistema produttivo esacerbato e un modello di produzione e di consumo più inclusivo di valori universali, quali il fatto a mano, le filiere corte, la qualità e il tempo. Tutti i prodotti di Romanengo, infatti, sono interamente realizzati a mano dai nostri maestri artigiani e come filosofia produttiva ci concediamo di rispettare i lunghi tempi richiesti da alcune ricette rimaste inalterate nei secoli, perché questi arricchiscono in modo unico il sapore e la qualità del prodotto finito.

I nostri artigiani, "custodi" di questa cultura, tramandano la bellezza, la diversità, i benefici salutari di una natura oggi soffocata e sempre più sconosciuta all'uomo. Desideriamo quindi riabilitare nelle nostre botteghe il legame con la natura e con la biodiversità.

Romanengo, peraltro, è stata influenzata dalla sua posizione geografica e la sua storia si snoda insieme a quella della sua città, Genova, le cui vicissitudini vengono dettate dalla sua localizzazione, affacciata al mare e appoggiata a valli e colline ricche di boschi. È su questo territorio che possiamo trovare la grande varietà dei frutti, come il chinotto o l’arancia, dei fiori, come la rosa e la viola, insieme a ciò che i commercianti riportavano dalle loro lunghe navigazioni, ovvero le ricette e le spezie. Il territorio genovese ha quindi profondamente condizionato il nostro savoir-faire e le nostre tradizioni: è un lungo rapporto fecondo tra la storia e la geografia, interamente da custodire.

Cresceremo quindi preservando e potenziando le nostre competenze di artigiani che fondano l’innovazione sull’esperienza, e il cui scopo ultimo è una maggior conoscenza della natura e dei nostri valori di produzione. Questa è una grande sfida del nostro mondo contemporaneo, questa è la nostra filosofia, questa è la nostra ragion d'essere. La natura custodita in un gesto.

Il nostro candito: quando la materia prima esprime la sua essenza nel tempo.

Tramandare il gesto antico capace di custodire la Natura: la nostra ambizione più grande.

HO VISTO IN UNA LOCALITÀ ALPINA UN BELLISSIMO SENTIERO CHE PORTA IN VALLE. IN FUTURO SARÀ IL SENTIERO E NON LA STRADA A ESSERE SCELTO E APPREZZATO DA CHI CERCA LA VERITÀ DELLA NATURA.

Pietro Romanengo, 2019

ARTIGIANO CONTEMPORANEO DAL 1780

Pietro Romanengo fu Stefano, le nostre origini.

L’antica confetteria “Pietro Romanengo fu Stefano” nacque a Genova nel 1780, quando dalla natia Voltaggio, terra collinare genovese lungo la via per la Pianura Padana, Anton Maria Romanengo scese a Genova; qui iniziò l’attività di speziale, attratto dalla fiorente attività commerciale della città, sostenuta dal suo grande porto, crocevia di scambi con il mondo. Fu l’intuizione dei suoi figli Stefano e Francesco ad aggiungere alla sua bottega la manifattura artigianale dei prodotti più noti della dolciaria fine genovese, la frutta candita, i confetti e la pasta di mandorle: lavorazioni che i genovesi scoprirono in Oriente, insieme allo zucchero, ai tempi della prima crociata. I crociati e i mercanti genovesi conobbero lo zucchero nel 1099 durante i tre giorni dell’assedio a Tripoli di Siria. Nel periodo immediatamente successivo la sua conoscenza si diffuse a Genova insieme alle ricette per il suo utilizzo. E cominciò la manifattura. Storicamente la frutta candita era considerata un alimento importante per i marinai, poiché si riteneva che mantenesse buona parte delle sostanze nutritive per i lunghi periodi di viaggio.

La Bottega Storica di Soziglia al tempo di Giuseppe Verdi, nostro affezionato estimatore e cliente.

Il nostro laboratorio nel 1780.

Romanengo superò le guerre napoleoniche e il drammatico blocco di Genova del 1800; con la Restaurazione, la famiglia aprì nel 1814 la bottega di Soziglia, rinnovata poi nel 1853 sull’esempio delle più eleganti confetterie parigine. Parigi, infatti, rappresentava nell’800 il riferimento in Europa dell’arte della confetteria: i frequenti viaggi di Stefano e di suo figlio Pietro nella città arricchirono la bottega con le novità francesi, dal cioccolato a una vastissima scelta di confiserie de detail. L’esempio da seguire fu dunque la bottega del confiseur-chocolatier francese: un prezioso negozio con un grande laboratorio completo e una fiorente letteratura sull’arte della confetteria. Così in Soziglia, come a Parigi, si lavoravano la frutta candita, i marroni, il cioccolato, i confetti dalle varie anime, le confetture, gli sciroppi e un vasto repertorio di specialità di ispirazione francese.

Quando Pietro Romanengo fu Stefano restaurò a metà dell’800 il negozio di Soziglia volle affiancare al nome della ditta (P R fu S) un marchio e ricordando che il negozio fu aperto nel 1814 al termine delle guerre napoleoniche scelse la colomba della pace perché solo con la pace vi poteva essere prosperità per una manifattura dolciaria e per Genova. Dopo i moti del 1848, che rappresentarono anche per Romanengo un periodo di forte destabilizzazione, si ottenne la tranquillità nel lavoro che la famiglia fortemente desiderava. E giunsero i tempi belli della Duchessa di Galliera che tutti i giorni ordinava alla bottega marroni, fondant e canditi. Arrivarono dai Ducati centrali gli ordini di bouquet zuccherati di viole e gardenie. Cominciarono le fiorenti esportazioni di frutta candita nelle Americhe e nel Nord Europa. Visitò frequentemente la bottega Giuseppe Verdi, che accompagnò l’invio di frutta candita all’amico Conte Opprandino Arrivabene con una lettera oggi conservata nel museo del Teatro alla Scala di Milano: “[...] vivendo tra queste dolcezze non m’ero accorto che Romanengo sapesse condire tanto squisitamente ogni sorta di frutto [...] me lo dissero alcuni di Parigi [...] fatta questa scoperta ho voluto fartene parte”.

La terra a cui apparteniamo, la Liguria, con i suoi fiori, i suoi frutti e i suoi colori, così legati alla nostra storia.

Vennero Umberto 1° di Savoia per il suo matrimonio con Margherita, e Umberto 2°, che amava le ciliegine rosa al liquore. Non mancò la Regina Elena per commissionare un torrone al pistacchio secondo la ricetta del Montenegro. Arrivò la Duchessa d’Aosta che, per riconoscenza, consentì a Romanengo di fregiare la propria insegna dello stemma ducale. Privilegio che però non fu mai usato dalla famiglia, la quale preferì mantenere la sua colomba della pace. I fasti dell’800 continuarono nel 900 con l’apprezzamento da parte della borghesia e delle aziende genovesi che si affiancarono ai clienti di antica nobiltà. Romanengo però, per sua scelta consapevole, non volle mai essere un’esclusiva destinata alle élite, ma desiderò essere per tutti, presidiando il mercato del gusto e dell’alta qualità tradizionale, piuttosto che quello del lusso.

Così, nel corso degli anni, tra epidemie (l’epidemia di Spagnola causò la morte di Emmanuele Romanengo, importante nella conduzione aziendale), guerre di indipendenza, guerre del Regno, guerre mondiali - un giornalista scrisse: “con i Romanengo non si sa mai di quali guerre parlino” - la famiglia Romanengo, di Stefano in Pietro, grazie allo spirito di unità dei familiari e alla fede cattolica, riuscì a mantenere vive le ricette tradizionali, i processi lenti e naturali, e la qualità dei prodotti. L’antica bottega così crebbe, diventando un punto di riferimento nella confetteria di grande tradizione, anche al di fuori di Genova. Recentemente ha fatto ingresso nella compagine sociale e nella gestione l’imprenditore Jean-Sébastien Decaux: accompagnando la famiglia Romanengo e condividendo fortemente la vocazione aziendale all’artigianalità dei processi produttivi e all’eccellenza nella qualità dei prodotti, ha apportato nuovi stimoli evolutivi e progetti di sviluppo, nel rispetto della tradizione dell’antica confetteria e dei suoi valori.

Pietro Romanengo, 1885 circa

Genova, la nostra città.

Genova, chiusa alle spalle dai monti, su cui nel tempo si arrampica, ed estesa in una stretta striscia di terra prospiciente l’acqua, è per natura proiettata ad espandersi verso il mare che in qualche modo è complementare alla città. In questo contesto ambientale si sviluppa l’indole dei Genovesi, scarni, sobri, fieri, tenaci e decisamente intraprendenti e portati al commercio. La storia della città è il frutto della combinazione di questi elementi che danno vita a percorsi particolari e difficilmente paragonabili a quelli di altri territori. Dall’epoca delle Crociate in Terra Santa a quella dei fiorenti commerci in tutto il Mediterraneo e nel vicino Oriente, dai fasti della Repubblica oligarchica all’espansione finanziaria dei banchieri della città in tutta Europa, i genovesi manifestano il loro coraggio e la loro determinazione attribuendo un ruolo di rilievo alla loro città, sbocco naturale sul mare e, come tale, sempre ambito e conteso dalle grandi potenze europee nel corso dei secoli.

La limitata produttività agricola della regione rende indispensabile procurarsi tutto ciò che il territorio non è in grado di produrre. Il mare è via di comunicazione privilegiata sia per il quotidiano spostamento di merci lungo le riviere, sia per commerci nel Mediterraneo e dal Seicento anche con i nuovi territori oltre oceano. Intorno al 1780, quando inizia la storia documentabile della famiglia Romanengo, la Repubblica oligarchica di Genova, nata con Andrea Doria nel 1528, è ormai al tramonto e con lei vengono meno le tradizionali magistrature della città. Lo spirito rivoluzionario francese si diffonde in città e crea le premesse per la nascita della breve Repubblica Ligure, che dal 1797 al 1805 consente alla città di conservare una certa autonomia, anche se sotto la protezione della Francia. In questo periodo si registrano momenti drammatici come il terribile assedio nella primavera del 1800 da parte degli anglo-austriaci che impone a Genova una breve occupazione delle forze imperiali.

La vittoria di Napoleone sugli austriaci a Marengo (giugno 1800) consente la restaurazione della Repubblica, ma l’influenza francese è sempre più condizionante, fino a quando nel 1805 la città viene inglobata nella Francia. La nazione, con un pesante regime fiscale e l’imposizione della leva militare, accentua le difficoltà commerciali della città, dovute anche al “blocco continentale” imposto dal Bonaparte che vieta l’attracco nei porti del suo impero alle navi provenienti dall’Inghilterra o dalle sue colonie. Dal 1815, per decisione del Congresso di Vienna, Genova e la Liguria vengono annesse al Piemonte dei Savoia, che, pur considerando la regione come naturale sbocco marittimo del loro territorio, faticano in un primo tempo a valorizzare l’impegno mercantile della città, anzi lo soffocano con dazi e protezionismo.

A partire dal 1821, con il nuovo re Carlo Felice, e ancor di più con Carlo Alberto dal 1831, la politica sabauda verso la Liguria diviene più attenta: miglioramento delle comunicazioni stradali, riforme legislative e amministrative, politica commerciale di impronta liberistica aiutano la ripresa dei commerci e favoriscono il costituirsi di una oligarchia del censo fatta di mercanti, armatori, imprenditori e banchieri.

NOI PARTIAMO SEMPRE DAI NOSTRI VECCHI RICETTARI, TRATTATI COME MESSALI, CON GRANDE RISPETTO E FEDELTÀ. SI PROVA, SI PROVA SINO A QUANDO IL PRODOTTO RIESCE COME DEVE.

GIUSEPPE ROMANENGO, 1968

LA CULTURA DELLE NOSTRE BOTTEGHE

Questa è l’arte del confettiere: conservare i prodotti della natura e imitarne l’aspetto e il gusto, attraverso le sapienti lavorazioni dello zucchero. Romanengo ha mantenuto nel tempo la sua originaria identità di confetteria, nell’accezione più tradizionale: una fabbrica dove la frutta, i fiori, le spezie e gli aromi vengono lavorati con lo zucchero. La produzione infatti è ancora organizzata secondo il modello ottocentesco francese e italiano, con la divisione per reparti di un grande laboratorio: questi reparti, chiamati botteghe, sono guidati dai nostri artigiani che seguono fedelmente i ricettari sia dell’antica figura del “confiseur-chocolatier” sia dell’arte genovese della canditura.

La bottega della frutta e dei fiori

L’antica sapienza orientale scoprì come conservare la frutta e i fiori grazie allo zucchero e fin dal Medioevo i cuochi, i conventi e gli artigiani genovesi, appresa questa conoscenza durante la prima crociata, seppero perfezionare l’arte della canditura divenendo famosi in Italia e addirittura in Francia. In questa bottega, l’antico “Fourneau”, rispettando le stagioni di maturazione e i ritmi lenti della ricettazione tradizionale, esaltiamo la ricchezza della frutta e dei fiori con la produzione di frutti canditi ghiacciati, scorzette di agrumi ingranate, marron glacé profumati con l’acqua distillata di fiori d’arancio, fiori di viola di bosco cristallizzati e conserve di frutta e di fiori. Le lavorazioni si avvalgono di diverse attrezzature, come strumenti per la cottura della frutta o vasche riscaldate per la canditura, ma l’autentica unicità di questi prodotti è possibile soltanto grazie alla manualità del maestro canditore e dei suoi allievi.

La bottega dei confetti

"La dragée est la partie la plus difficile des travaux du confiseur". Barbier Dubal, “L’art du confiseur moderne” (Parigi, 1879). Così si scriveva quando veniva utilizzata la bassina a mano, la Branlante, ineguagliabile nel tempo per la qualità della confettatura. Dal 1840 la bassina meccanica la sostituì e soltanto grazie al gesto del nostro confettiere si ottiene oggi un prodotto di analoga qualità. Produciamo dolci antichissimi che conservano, grazie allo zucchero, semi e parti di piante e spezie: mandorle di Avola, pinoli italiani, pistacchi di Bronte, scorzette candite di agrumi, corteccia di cannella, chicchi di caffè tostati e semi di finocchio.

La bottega dei fondant

Questa bottega nacque idealmente quando il francese La Varenne pubblicò nel 1667 il trattato “Le parfait confiturier”. Per la prima volta veniva esaminato e descritto il comportamento dello sciroppo di zucchero durante la cottura, dalla bollitura alla comparsa del caramello e con un linguaggio quasi poetico, si illustravano gli stadi di cottura: nappé, lissé, petit perlé, petit e gros soufflé, petit e gros boulé, petit e grand cassé e caramel. Nella nostra bottega gli artigiani padroneggiano la difficile tecnica della “brillantatura”, capace di conservare i prodotti in modo naturale. Così lo zucchero viene lavorato in varie forme e colori: nei fondants, nelle gocce al rosolio, nelle paste di frutta e in tutti gli altri prodotti che diventano importante testimonianza dell’incontro tra savoir-faire artigianale e fantasia.

Le scatole Romanengo, divenute iconiche. Realizzate esclusivamente a mano, perché l’artigianalità si esprima in ogni aspetto della nostra identità.

Il nostro prodotto: la cultura della storia, dell’origine e della cura artigianale.

La bottega del cioccolato

Diamo forma al nostro cioccolato al latte e fondente - modellato in tavolette e in diverse creazioni - e produciamo la tipologia del santè non concato di tradizione ottocentesca, quasi completamente dimenticata. Il “chocolat de santè” nacque in Francia per distinguere il buon cioccolato dai prodotti adulterati di bassa qualità che spesso si trovavano in commercio. Si tratta infatti di un cioccolato genuino composto di solo cacao e zucchero in uguale percentuale. Le antiche macchine ancora utilizzate per la produzione del cioccolato lavorano rispettando i tempi del passato: ecco un mescolatore di granito “De Batiste” del 1863, una raffinatrice a cilindri di acciaio “Carlo Montanari” degli anni ’50 del 900 e una conca longitudinale di granito “Melzi” degli anni ’40.

La bottega dei dolci del confettiere

Nell’antico “Four” produciamo la pasta di mandorle cruda o fondant in varie forme e aromatizzazioni, come i tipici dolci quaresimali e le ovette pasquali colorate. Noti sono i “dolci di Romanengo”: frutti caramellati, tartufi, meringhe, petit four ghiacciato, pastine e torroni. Fra questi spicca quello fondant al pistacchio commissionato a Romanengo dalla Regina Elena per ricordare il torrone del suo Montenegro. La lavorazione è esclusivamente manuale, con il gesto dell’artigiano che conferisce un’estetica precisa e spesso sorprendente agli occhi dei clienti. I pochi macchinari presenti nella bottega sono infatti utilizzati soltanto per la preparazione degli impasti: una raffinatrice a cilindri di granito acquistata nell’800, una torroniera degli anni ’40 ed una cuocicrema.

IL PROGETTO DELLA CASCINA

Il progetto racchiude molteplici obiettivi sinergici, in fase di sviluppo: rigenerazione delle risorse naturali come suolo, acqua e aria producendo cibo sano; riduzione delle emissioni di CO2 e aumento dello stock di carbonio nel suolo attraverso pratiche agro-ecologiche; incremento della biodiversità a livello di suolo, azienda e paesaggio attraverso un approccio sistemico che consideri tutti gli elementi dell'ecosistema; collegamento con le diverse aree dell’azienda Romanengo per la creazione di una produzione di filiera corta come frutta e miele; creazione di una rete con aziende agricole locali per lo scambio delle materie prime.